Dagli inizi del mese di marzo 2020, fra gli effetti provocati dalla pandemia da Covid-19 - con il lockdown della maggior parte dei Paesi - si è registrato un crollo del prezzo del petrolio ai minimi storici, -37 dollari al barile. Ripercussioni si sono avute anche per i maggiori produttori di greggio del Caspio e dell’Asia centrale. Le contromisure adottate da Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan riflettono la necessità di scongiurare il ripetersi della crisi seguita allo shock petrolifero del 2014. Ma saranno sufficienti a mitigare gli effetti provocati dalla contrazione delle vendite di risorse energetiche?
L’Azerbaigian ha da subito seguito le linee guida imposte dall’OPEC in merito alla riduzione della produzione giornaliera di petrolio da attuare in tre fasi per il periodo 2020-2022, prevedendo una diminuzione di 90.000 barili per mantenersi su a una media di 700.000 barili al giorno (bpd), come riportato nella nota del Rapporto mensile del mercato petrolifero dell'OPEC pubblicato il 16 aprile dall’editoriale AzerNews.
Per far fronte alla crisi innescata dalla riduzione della produzione e della vendita di petrolio, il governo azerbaigiano ha stanziato un piano di aiuti di circa 600 milioni di dollari, nell’intento di limitare l'impatto negativo della pandemia sull'economia. Il programma è volto a sostenere 300 mila piccole e medie imprese, con prestiti emessi a condizioni più favorevoli. Le agevolazioni comprendono anche esenzioni fiscali per le microimprese, con l'esonero dalle tasse sugli immobili e terreni fino alla fine dell'anno. Oltre alle misure a sostegno delle imprese, il governo ha stanziato circa 230 milioni per la protezione sociale dei cittadini: un pacchetto di aiuti destinato in primo luogo ai disoccupati e agli studenti con basso reddito per la copertura delle tasse universitarie. Con l'attuazione di queste riforme, l'Azerbaigian è diventato - tra i paesi post-sovietici - lo stato che ha assegnato la maggiore quota del PIL per far fronte alla situazione di emergenza.
Con il tempo si vedrà se queste misure saranno sufficienti a contrastare gli effetti della crisi in corso. Tra gli esperti, c’è chi ritiene che lo siano solo parzialmente. “Attualmente, la maggior parte dei lavoratori a giornata in settori temporaneamente inattivi sono lasciati senza nessuna forma di tutela. Solo una piccola parte di loro, come disoccupati o studenti, riceverà un aiuto”, spiega l’economista Togrul Veliyev. “Il governo dovrebbe intervenire a sostegno di cittadini e imprese con due manovre specifiche: il congelamento degli interessi sui prestiti e l'assistenza alle piccole e medie imprese, sotto forma di crediti a lungo termine a tassi bassi nel periodo post-virale”, afferma l'economista Natig Jafarli che prevede un’uscita dalla fase più acuta della crisi non prima di sei mesi.
Le previsioni della Banca Mondiale appaiono improntate su una maggiore ottimismo, sostenendo che il taglio alla produzione di petrolio porterà l’economia azerbaigiana ad affrontare entro la fine del 2020 una fase di recessione pari allo 0,2% del bilancio pubblico ma con un rebound al 2,2% nel prossimo anno. Una recessione che non si prolungherà quindi a lungo ma che, già con l’inizio del 2021, tenderà ad attenuarsi anche grazie all’intervento di SOFAZ (State Oil Fund of the Republic of Azerbaijan) che compenserà la perdita dovuta al ribasso del prezzo del petrolio sotto la soglia di equilibrio del bilancio di 48 dollari al barile. I pronostici positivi tengono anche conto della situazione economica registrata durante i primi mesi del 2020. Il nuovo anno era iniziato bene per l'economia azerbaigiana: il PIL dell'Azerbaigian nel primo trimestre ha mostrato un aumento dell'1,1%, l’inflazione stabile al 3% mentre il settore non petrolifero è cresciuto del 3,5%.
In un’intervista rilasciata il 16 marzo scorso alla Real TV Elmar Rustanov, Presidente della Central Bank of Azerbaijan, ha dichiarato: "Il Paese ha del potenziale per fronteggiare la crisi mantenendo il livello di assistenza sociale che abbiamo raggiunto, senza intaccare ulteriormente il settore finanziario". Crescono però i timori fra la popolazione che, memore della crisi del 2014, si è affrettata a convertire in dollari i propri risparmi, in previsione di una svalutazione del manat. Per tutta risposta, alcune banche hanno interrotto la vendita di dollari mentre altre hanno imposto dei limiti alla convertibilità. Il Primo ministro Ali Asadov ha tuttavia sollecitato i cittadini alla moderazione, dichiarando che le riserve statali in valuta estera - superiori al PIL nazionale - sono sufficienti ad affrontare la crisi. La situazione nel mercato dei cambi si è notevolmente normalizzata e il tasso di cambio nazionale in manat continua a rimanere stabile, nonostante un calo del valore delle valute nazionali dei paesi vicini.
Una situazione analoga si è riscontrata in Kazakistan. L’accordo raggiunto in seguito alla riunione ministeriale tra le nazioni OPEC+ e le nazioni produttrici, relativamente ad un taglio netto della produzione di 9,7 milioni di barili, è stato sottoscritto anche dal ministro dell'Energia kazako Nurlan Nogayev, che si è impegnato per una riduzione della produzione giornaliera nazionale pari a 390.000 barili.
Per far fronte all’emergenza, il governo ha progettato un pacchetto anti-crisi del valore di 10 miliardi di dollari per attutire l’impatto economico provocato dalla pandemia. Alla manovra hanno fatto seguito sussidi salariali e un supporto di liquidità alle imprese, oltre a garanzie sui prestiti e agevolazioni fiscali temporanee a tutela dell’occupazione. La gravità della crisi economica ha costretto il governo a ricorrere al Fondo Nazionale (con riserve pari a 57,5 miliardi di dollari), fondamentale per alleviare la pressione sulla popolazione, sebbene un inevitabile deprezzamento del tenge non eviterà nuove tensioni sociali. L'agenzia di stampa Reuters ha riferito che il governo intende utilizzare fino 10,6 miliardi di dollari dal Fondo (circa 6 in più di quelli preventivati). Una situazione dunque analoga al caso azerbaigiano, ma con risvolti diversi. L'economista Meruert Makhmutova ha dichiarato che la necessità, sempre più ricorrente, di attingere al Fondo Nazionale è un chiaro segnale di quanto la situazione non sia mutata dall’ultimo shock petrolifero: “Nella fase successiva alla crisi del 2014, il Kazakistan spese una cifra del Fondo pari al doppio dei guadagni derivati dalla vendita del petrolio. Quest'anno, la differenza tra entrate e spese si triplicherà".
Preoccupazioni aggiuntive derivano dal calo dei prezzi delle materie prime sui mercati esteri (il rame è diminuito del 6%, l'alluminio del 5%, lo zinco del 10% e il piombo del 3%). A questo si somma la riduzione delle esportazioni di gas verso la Cina di circa il 25% dai primi di marzo. La forte dipendenza dell’economia kazaka dalla vendita di risorse energetiche ha fatto sì che il tenge kazako perdesse di valore contro il dollaro in seguito al crollo del prezzo del petrolio. L'associazione kazaka dei diritti dei consumatori SAPA ha annunciato che il costo di prodotti elettronici ma anche di beni alimentari di prima necessità come tè, caffè e zucchero – tra le principali importazioni del Paese – potrebbe aumentare in modo significativo.
"Fino a quando il governo non sarà pronto a impegnarsi in costose riforme strutturali, il Kazakistan non sarà immune dalle volatilità dei prezzi delle risorse energetiche", ha aggiunto alla Nikkei Asian Review Luca Anceschi, professore associato presso l'Università di Glasgow. Nonostante la rapida risposta del governo alla crisi, il governo di Tokayev è "intrinsecamente più debole" di quello di Nazarbayev con meno opzioni a disposizione per mantenere il consenso favorevole della popolazione. "Il calo delle entrate petrolifere limiterà ulteriormente la capacità del regime di rafforzare il proprio. Per una leadership al potere da meno di un anno e che ha già affrontato diverse proteste, questa non è una buona notizia".
L’Uzbekistan si prepara ad affrontare la crisi economica globale con uno spirito rinnovato rispetto al 2014, confidando in una maggiore efficacia delle azioni del Presidente Shavkat Mirziyoev in confronto al suo predecessore. Gli impatti economici globali del COVID-19 hanno indebolito l'economia nazionale, in particolare attraverso la caduta dei prezzi e delle vendite di gas naturale a Russia e Cina, la sospensione delle esportazioni di prodotti agricoli nei paesi vicini ed il rimpatrio dei lavoratori stagionali. Con il divieto di ingresso imposto dalla Russia lo scorso 18 marzo, i migranti stagionali non hanno potuto lasciare l’Uzbekistan, contribuendo a far aumentare il valore, già molto elevato, della disoccupazione interna. Inoltre, come per gli altri paesi, anche il som ha subito una perdita di valore, seguita alle due svalutazioni effettuate dalla Banca Centrale dalla metà di aprile.
Per contrastare la perdita di liquidità, il presidente Mirziyoev ha firmato un decreto che consentirà al paese di ottenere 3,1 miliardi di dollari in prestiti agevolati a lungo termine da parte di istituzioni finanziarie internazionali (tra cui la Banca Mondiale, la ADB e la AIIB) e 250 milioni di dollari dal China's Silk Road Fund. Prospettive rassicuranti arrivano anche dal Ministero dell’Economia di Tashkent, con la previsione che il crollo del prezzo di gas e petrolio e le conseguenti svalutazioni monetarie nei paesi centroasiatici avranno ripercussioni negative che saranno comunque compensate dall’aumento del prezzo dell’oro. Forte della posizione di ottavo produttore al mondo di oro, il governo uzbeko ha finora garantito che il bilancio dello Stato rimarrà positivo nonostante la crisi in corso.
Situazione diversa, e con maggiori incertezze, si prospetta invece per il Turkmenistan: pur pesantemente afflitto da una grave crisi economica interna, questa nazione centroasiatica aveva ripreso dagli inizi del 2020 la vendita di gas naturale alla Russia, anche se in quantitativi nettamente inferiori rispetto al 2016, quando il Cremlino annullò unilateralmente il contratto esistente. Se consideriamo che le forniture verso l’Iran sono sospese dal 2017, resta solo la Cina come principale cliente ed acquirente del gas turkmeno. I primi dati suggeriscono che l'impatto immediato del COVID-19 in Cina ha già inciso gravemente sui ricavi delle esportazioni del Turkmenistan, con le importazioni cinesi di gas naturale turkmeno in calo del 17% su base annua a gennaio e febbraio 2020. Il principale fattore trainante della crescita del Paese - l'estrazione delle risorse naturali - è già stato intaccato e le condizioni potrebbero peggiorare ulteriormente a causa del calo della domanda globale. In assenza di un settore privato solido e competitivo che garantirebbe entrate alternative, la crisi appare destinata a propagarsi fino alla fine del 2020. Si prospetta pertanto una sempre più urgente necessità di diversificazione nel settore produttivo e una maggiore apertura agli investimenti esteri.
Le conseguenze economiche causate dal propagarsi della pandemia, con il crollo della domanda di materie prime, di petrolio e gas naturale si prospettano gravi per i tutti i Paesi dell’Asia centrale e del Caspio. Azerbaijan e Kazakhstan hanno attuato fin dai primi di marzo una linea di intervento simile, con la riduzione della produzione di idrocarburi conforme alle direttive dell’OPEC e lo stanziamento di una serie di aiuti economici. Se da un lato i primi interventi sono stati tempestivi per tentare di salvaguardare le imprese in maggiore difficoltà e il tessuto sociale più debole, è altresì vero che la stringente e ripetuta necessità di attingere ai Fondi Nazionali per compensare le perdite derivate dalla mancata vendita del petrolio è un’ulteriore conferma di quanto i due Paesi siano ancora fortemente dipendenti dal settore e energetico.
Gli effetti del lockdown non hanno risparmiato neanche i produttori minori come Uzbekistan e Turkmenistan, dove la brusca interruzione della mobilità e delle attività commerciali con la Russia e la Cina ha destabilizzato ulteriormente le già precarie situazioni economiche interne. Le conseguenze si sono concretizzate in un aumento dei tassi di disoccupazione, un maggiore rischio di svalutazione delle monete nazionali e di inflazione.
Il prospetto di uno scenario simile a quello causato dallo shock petrolifero del 2014 ha dunque fatto sì che i governi mettessero in atto fin da subito piani di interventi volti a mitigare gli effetti prodotti dalla pandemia, ma anche questa volta un esito positivo è da ritenersi tutt’altro che scontato. Certo è che l'attuale crisi non ha precedenti nella sua portata, presentandosi per tutto il Centro Asia ed il Caspio come una sfida economica molto più grande se paragonata a quelle affrontate in passato.