Da quando Shavkat Mirziyoyev è subentrato ad Islam Karimov alla guida dell’Uzbekistan (in seguito alla morte di quest’ultimo a fine 2016), la situazione non ha cessato di cambiare in meglio segnando una vera e propria rinascita per il principale paese al cuore dell’Asia centrale. Ritornata nei circuiti internazionali, Tashkent è in questi giorni una delle mete più trafficate d’Eurasia.
Quali le differenze più grandi che ha potuto ravvisare, Dottor Vielmini, in Uzbekistan prima e dopo la morte del Presidente Karimov sia in ottica interna sia in materia di politica regionale ed estera?
Visitai Tashkent l’ultima volta nel gennaio del 2004. La rigidità di quell’inverno sottolineava la situazione politica del paese, stretto nella morsa plumbea di uno Stato di polizia, dove tutto era controllato ed ogni movimento e transazione, riguardanti tanto le persone quanto le loro idee, soldi o comunicazioni, passavano al vaglio di un potere che cercava di essere onnipresente. L’anno successivo la tragedia di Andijian, dove il regime decise di reagire con la forza militare alle proteste della popolazione, facendo centinaia di morti, segnava la marginalizzazione dell’Uzbekistan dalla scena internazionale.
Dopo 15 anni di chiusura, la scomparsa di Karimov ha permesso al nuovo Presidente Shavkat Mirziyoyev di inaugurare un vasto corso di riforme che ha cambiato la vita dei 33 milioni di uzbekistani e che se proseguito efficacemente potrà influenzare gli sviluppi non solo all’interno della regione ma alla scala dell’intero continente eurasiatico. Il potere infatti ha ripreso a dialogare con differenti controparti, liberando prigionieri politici ed attuando passi concreti per il ripristino delle libertà fondamentali. Un autentico disgelo è in corso, segni del quale continuano a moltiplicarsi. Ad esempio, qualche settimana prima della mia partenza il Ministero degli Affari Esteri ha rimosso l’obbligo del visto d’ingresso (per un periodo di 30 giorni) per cittadini di tutti i paesi i paesi europei (oltre che numerose nazioni est-asiatiche e sud-americane, cfr: https://mfa.uz/en/consular/visa/). Tale misura contribuirà sicuramente ad alimentare il turismo verso un paese che presenta siti unici, in primo luogo le antiche città della via della seta quali Samarcanda e Bukhara.
Nelle strade di Tashkent l’uscita dal tunnel della paranoia di Karimov si avverte ad ogni livello. La città è più viva, più luminosa. Molto indicativo il ritorno della lingua russa ad occupare nel quotidiano lo spazio visuale ed informativo che questo strumento ha tradizionalmente rivestito e che è indispensabile al paese per svolgere la sua funzione di crocevia e punto di contatto fra i popoli della regione.
Per cercare di raggiungere il primato negli affari regionali, l’Uzbekistan di Karimov aveva cercato a più riprese di porsi quale il cliente di riferimento della politica statunitense verso l’Asia centrale. Tali scenari sembrano ora relegati al passato. Il nuovo corso di politica estera cerca l’apertura tanto nei confronti dei vicini centrasiatici che di tutti gli attori geopolitici attivi sulla scena regionale. Il tutto ha una fondamentale importanza geopolitica, in quanto, dopo anni d’isolamento dai vicini ed inserimento (per quanto in verità intermittente) negli schemi geopolitici anglo-americani, l’Uzbekistan riassume la propria posizione naturale di perno dello spazio centroasiatico. Fondamentali in tal senso, oltre che le nuove aperture all’interconnessione con la Russia, la normalizzazione con l’Iran, che permette di pensare inedite geometrie regionali che possano influenzare la situazione del martoriato vicino Afghanistan.
Lei ha recentemente preso parte ad una conferenza di esperti dell’area centroasiatica per discutere della nuova strategia europea per l’Asia Centrale: quali secondo lei le prospettive, le sfide e le opportunità per la regione e, più in particolare, per l’Uzbekistan?
L’occasione per ritornare nel paese mi è stata offerta infatti dall’invito alla conferenza “Cooperation between Uzbekistan and the European Union: search for new approaches and mechanisms”, svoltasi il 29 Marzo organizzata dal think-tank «Ma’no», dall’antenna locale della fondazione tedesca Friedrich Ebert e dall’ Istituto per gli Studi Strategici e Regionali della Presidenza dell’Uzbekistan (ISRS); l’evento ha riunito esperti nazionali ed europei per valutare sotto quali condizioni il rilancio della strategia comunitaria europea per la regione possa contribuire alle dinamiche positive in corso nel paese. Nel mio intervento ho sottolineato come per essere effettiva la nuova strategia UE per l’Asia centrale debba necessariamente trarre la lezione dei risultati (scarsi e controversi) del precedente documento, datato 2007. Data l’attuale crisi del progetto europeo, le possibilità per un rilancio dell’impegno europeo nei confronti della regione sono strettamente legate ai nuovi corsi di riforme interne e di politica estera dell’Uzbekistan. Al di là dell’apertura agli standard internazionali di governance e stato di diritto, a mio avviso, le prospettive più interessanti derivano dal fatto che Tashkent si pone per la prima volta dall’indipendenza in una dinamica positiva con gli interessi sia russi che iraniani nella regione. Tale fatto dovrebbe essere preso in considerazione da parte dell’UE per avviare inedite geometrie di collaborazione internazionale, le sole che potrebbero portare ad interagire con profitto con problemi strutturali quali il futuro dell’Afghanistan, la lotta al narcotraffico ed i potenziali effetti negative di una penetrazione incontrollata della potenza cinese in tutte le sfere della vita regionale.
Ho inoltre avuto l’onore di essere invitato presso l’ISRS per animare assieme ad un collega tedesco, una tavola rotonda presso la sede dell’Istituto (l’ex palazzo presidenziale) dove, in presenza dei direttori e dei principali esperti ISRS in materia, si è discusso delle prospettive di cooperazione fra la Germania, l’UE e l’Uzbekistan. Quale risultato di questo secondo incontro, la dirigenza dell’ISRS ha espresso il desiderio di organizzare congiuntamente con l’OACC un progetto di ricerca italo-uzbeko che preveda anche eventi pubblici di presentazione della nuova realtà del paese in Italia.
Un suo commento, da ultimo, sul nuovo corso dell'economia uzbeka. Criticità sistemiche che si controbilanciano ad un forte dinamismo anche sul piano degli investimenti dall'estero.
Al di là degli sviluppi geopolitici, il nuovo Uzbekistan rappresenta un’economia estremamente dinamica, di sicuro interesse per le imprese italiane attive all’estero. La liberalizzazione del regime dei cambi, l’emissione di obbligazioni pubbliche e le garanzie introdotte per l’esportazione dei guadagni sugli investimenti hanno radicalmente cambiato l’ambiente e le condizioni per gli affari e gli investimenti. Si tratta di sviluppi concreti, confermati dall’innalzamento del rating dell’Uzbekistan dal 146° al 76° nelle classifiche Doing Business della Banca Mondiale. Al fine di migliorare ulteriormente questo indicatore, il governo continua ad introdurre misure volte a migliorare il quadro legislativo a supporto degli investitori esteri. Tradizionalmente motore dello sviluppo nazionale, lo Stato uzbeko ha intenzione di orientare maggiormente l'economia verso le esportazioni. Di conseguenza, entro il 2030 il paese si è prefisso di innalzare al 40% la quota del settore industriale nel PIL (era il 32,9% nel 2016). Ciò implica che le imprese uzbeke avranno bisogno di sostituire le loro apparecchiature obsolete e modernizzare l'infrastruttura di trasporto. Di conseguenza, numerosi settori dell’economia uzbeka si apriranno a collaborazioni estere negli anni a venire (secondo un recente studio entro il 2030, l'Uzbekistan prevede di attuare 657 progetti nei settori infrastrutturali strategici dell'economia per un valore di più di 40 miliardi dollari, con 2,9 miliardi previsti per sostituire attrezzature industriali obsolete con fondi pubblici ed esentati da tutti gli oneri doganali). Tali piani economici hanno un carattere strategico per il futuro di un paese, dove ogni anno nascono 600.000 bambini, ed un numero analogo di giovani entra nel mercato del lavoro. Di conseguenza affrontare il problema della disoccupazione è al vertice delle priorità nazionali.
Ovviamente, dal punto di vista dei potenziali investitori la situazione è lungi dall’essere priva di rischi. Fra i fattori che frenano gli investitori vi è il ricordo della prima liberalizzazione della moneta nazionale, il som, che il governo abolì dopo un periodo di prova e la paura di una possibile svalutazione del som. Vi sono inoltre consistenti aspettative nei confronti dei risultati delle riforme avviate da Mirzioyev, soprattutto in termini di efficienza delle istituzioni pubbliche e della creazione di un ambiente stabile per il business e gli investimenti. Cruciale per testare la profondità dei cambiamenti sarà l’esito della riforma del sistema giudiziario. Attualmente, numerosi casi di espropri immobiliari attraverso il paese indicano come la situazione rimanga fluida e seri sforzi siano ancora necessari.
A tale proposito, la distruzione di certi quartieri tradizionali e costruzioni sovietiche rischia di stravolgere l’unicità del paesaggio urbano delle città uzbeke, anche diminuendo la loro attrattiva turistica.